CELLOFAN, IMBALLAGGI FLESSIBILI NEUTRI E STAMPATI, FILM ECOSOSTENIBILI, FILM HI TECH PER I MATERIALI COMPOSITI E LA VULCANIZZAZIONE

Manuale Film

CARATTERISTICHE BASE DEI FILM

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SPESSORE, DENSITA’, TITOLO, RESA

Lo spessore del film è misurato con un apposito strumento che si chiama micrometro. L’unità di misura che si utilizza nei film è il micron, che è pari alla millesima parte del millimetro. Questo significa che 1000 micron sono pari ad 1 millimetro, oppure che 0,001 millimetri sono pari ad 1 micron.

Nei film per imballaggi flessibili gli spessori variano in genere da 15 a 50 micron per i monofilm, da 40 a 90-100 micron per gli accoppiati e possono salire fino a 300-500 micron per i coestrusi multistrato.

La densità è il rapporto peso/volume ed esprime “il peso specifico” di un certo materiale. Nell’esperienza quotidiana sappiamo che il ferro è più pesante del legno che è più pesante del sughero.

Nei film vale lo stesso principio, ci sono materiali che sono “di natura” più pesanti di altri. E’ però molto più difficile rendersene conto perché le differenze nelle densità sono molto ridotte e perché il materiale che ci viene in mano è normalmente un foglio che ha peso molto limitato, ed è quindi difficile apprezzare le differenze.

La densità si misura in grammi a centimetro cubico.

Nei film le densità si aggirano su valori vicini ad 1, sono pertanto simili a quelle dell’acqua.

La seguente è una breve lista delle densità tipiche di alcuni film:

  • Cellofan 1,45 g/cm3
  • Polietilene (Bassa ed alta densità) 0,90 g/cm3
  • Polipropilene Biorientato 0,91 g/cm3
  • Poliestere 1,40 g/cm3
  • Poliammide (nylon) 1,15 g/cm3
  • PVC 1,35 g/cm3

Il titolo é il peso di una unità di superficie di un determinato film e si misura in grammi al metro quadrato. Se il titolo di un film è di 23 grammi/metro quadrato questo significa che un metro quadrato di quel film pesa 23 grammi.

Per i monofilm si arriva facilmente a calcolare il titolo moltiplicando lo spessore del film per la densità del materiale. Ad esempio per un polipropilene biorientato di spessore 20 micron, che ha densità 0,91, il titolo è di 18,2 grammi a metro quadrato (20 my x 0,91 g/cm3 = 18,2 g/m2).

Ci sono poi apposite bilance chiamate titolatrici che misurano il titolo di un film. In questo caso bisogna ricavare una superficie di film predeterminata (in genere un quadrato di 10×10 centimetri) e posizionarlo su un braccio della bilancia. L’uso delle titolatrici è pressoché necessario laddove si sia in presenza di film costituiti da più materiali (accoppiati o coestrusi).

La resa é il numero di metri quadrati di film che si ottengono da un chilogrammo di prodotto. Si calcola dividendo 1000 per il titolo. Nell’esempio sopra indicato il polipropilene biorientato da 20 micron, che ha titolo 18,2 g/m2, ha una resa di 54,94 metri quadrati per chilogrammo di film (1000 g : 18,2 g/m2 = 54,94 m2/kg).

CONFEZIONE – PESO E COSTO

In molti casi ciò che interessa sapere è in realtà quale sia il costo a confezione di un certo film, che si tratti di un foglio, un sacchetto, un metro lineare, un metro quadrato.

Per fare questo si deve innanzitutto determinare il peso di questa confezione. Ovviamente si può procedere a pesarla, ma spesso questo metodo è poco pratico. In primo luogo la confezione può essere molto leggera, e la divisione e/o la pesatura minima delle comuni bilance risultare inadeguata. (molte bilance comuni hanno pesata minima di 5 o 10 grammi e divisioni di 1-2 grammi). Bisognerebbe pertanto munirsi di bilancine da laboratorio o da orefici. Ma poi può succedere che la confezioni risulti sporcata da cibo o polvere, le misure di taglio non precise e il peso ottenuto risulti svariato.

E’ più semplice pertanto stimare il peso di una confezione con un calcolo, che è dato dal seguente procedimento. Si misurano i due lati della confezione (in metri) e si moltiplicano per il titolo del film, il risultato che si ottiene è il peso (in grammi) della confezione.

Ad esempio se la confezione misura 500 millimetri x 300 millimetri ed il titolo del film è di 18,2 grammi a metro quadrato, il peso della confezione è di 2,73 grammi (0,500 m x 0,300 m x 18,2 g/m2 = 2,73g/confezione)

Ottenuto il peso è molto semplice calcolare il costo della confezione semplicemente moltiplicandolo per il prezzo al chilogrammo del film e dividendo per 1000. Pertanto se la confezione pesa 2,73 grammi ed il prezzo al chilogrammo del film è di 3,00 €/kg, il costo a confezione risulta di 0,00819 € (2,73 g/confezione x 3,00 €/kg : 1000 g/kg = 0,00819 €/confezione).

Questo costo è teorico, infatti lo spessore del film è nominale e soggetto alle usuali tolleranze di fabbricazione (in genere + o – 10%, il che su un film da 20 micron significa che lo spessore può essere ridotto a 18 e salire fino a 22 micron): Inoltre ad esso si deve aggiungere una certa percentuale di scarti che possono essere creati durante l’utilizzo del film. Se il film è stampato il colore aumenta il peso ed è estremamente difficile quantificare la variazione. Ma in genere questo conteggio fornisce un conteggio pratico e veloce per determinare con una buona approssimazione il costo a confezione.

Se il preventivo di spesa è dettagliato e riporta tutti i dati, in particolare specifica quante sono le confezioni ottenibili dal lotto di ordine, un altro metodo per calcolare il costo a confezione è calcolare il costo totale dell’ordine e dividerlo poi per il numero di confezioni ottenibili. Se ad esempio il lotto d’ordine è di 300 kg, il prezzo a kg di 4.00 €, e le confezioni ottenibili 10.000 il costo a confezione è di 12 centesimi (300 kg x 4,00 €/kg : 10000 confezioni = 0,12 €/confezione)

TIPI DI FILM – MONOFILM, ACCOPPIATI, COESTRUSI

Un monofilm è un film costituito da un unico film.

Ci sono poi gli accoppiati. Questi film sono prodotti incollando tra di loro con colle speciali 2 o più film diversi. In genere si parla di accoppiati se i film sono due, triplex in caso di tre film diversi, film a 4 strati sono estremamente rari.

Il vantaggio degli accoppiati è di poter incollare film molto diversi tra di loro (cosa che per motivi tecnologici non si potrebbe fare con la coestrusione) ottenendo perciò un nuovo film con caratteristiche globali migliorate, date dalla somma delle caratteristiche di ciascun componente.

Ad esempio l’accoppiato usato per la pasta secca (spaghetti, rigatoni eccetera) è generalmente costituito da film di polipropilene biorientato per il lato esterno incollato a film di polipropilene cast per il lato interno. Il polipropilene biorientato conferisce alla confezione la necessaria rigidità e tenuta meccanica, il polipropilene cast serve ad ottenere un’ottima saldatura e a evitare la lacerazione causata dai punti taglienti della pasta.

Per le mozzarelle in atmosfera modificata si usa generalmente un accoppiato costituito da poliammide biorientato sul lato esterno accoppiato a del polietilene bassa densità bianco sul lato interno. Il poliammide biorientato fa un’ottima barriera ai gas dell’atmosfera modificata (tipicamente una miscela di azoto e anidride carbonica) e, se opportunamente scelto, favorisce la scorrevolezza negli ambienti umidi. Il polietilene bianco ha una duplice funzione: garantisce una ottima saldatura (eventualmente anche a caldo e/o in presenza di liquido di governo) e fornisce una buona barriera alla luce.

Per la frutta secca si usa frequentemente l’atmosfera modificata costituita dal solo azoto. In questo caso una soluzione economica per il film è data da un accoppiato costituito da poliestere sul lato esterno, che ha ottime proprietà di barriera al gas, e polipropilene cast sul lato interno che serve ad ottenere un’ottima saldatura, a evitare la lacerazione causata dalla presenza di punti taglienti del prodotto, e ha un eccellente aspetto trasparente.

Se il processo di individuazione dei fabbisogni del packaging del prodotto è correttamente condotto e i film necessari sono specificatamente selezionati si ottengono ottimi risultati di confezionamento, con un film costruito ad hoc sulle esigenze dell’utilizzatore.

L’accoppiamento è inoltre un procedimento economico e può essere realizzato anche con lotti produttivi molto bassi (cosa normalmente non possibile coi film coestrusi).

Il film accoppiato offre anche un altro vantaggio, la possibilità di eseguire la stampa all’interno dei due film (cosiddetta stampa a sandwich), ottenendo una stampa lucida e completamente isolata dal prodotto da confezionare.

Il film accoppiato si identifica abbastanza facilmente. Nel caso di film stampato è impossibile rimuovere la stampa dal film, perché risulta inglobata tra le due faccie.

Se invece il film è anonimo osservando il film in trasparenza si può notare la colla che si presenta sotto forma di una leggera granulosità della superficie.

LA STAMPA

Nei film plastici la stampa può essere effettuata in flessografia o a rotocalco (si veda più oltre per una breve descrizione di ciascun processo e i rispettivi vantaggi e svantaggi).

Nei film trasparenti la stampa può essere effettuata sul lato esterno, sul lato interno o a sandwich. La stampa esterna è effettuata sul lato esterno del film (quello che solitamente non va a contatto con il prodotto da confezionare). E’ possibile effettuare una stampa interna se il prodotto non è a diretto contatto con il lato dove è stato depositato l’inchiostro (perché ad esempio il prodotto ha un ulteriore confezione singola, oppure nel caso il prodotto non sia alimentare). La qualità di stampa che si può ottenere è la medesima, l’unica differenza è che nella stampa interna i colori risulteranno lucidi, grazie all’effetto della luce che passa attraverso il film. La stampa a sandwich è realizzata sugli accoppiati. L’aspetto dei colori è lucido, il colore resta confinato tra i due film e non può mai venire a contatto con il prodotto da confezionare.

Per capire su quale lato è stata effettuata la stampa il metodo più semplice è di cercare di rimuoverla. I sistemi sono due: si passa la superficie con un batuffolo di cotone imbevuto d’alcool o meglio di diluente, o si gratta la superficie con una lama per rimuovere lo strato di colore.

La stampa può essere continua o a registro. La stampa continua (anche chiamata “a correre”) è una ripetizione infinita dello stesso disegno senza dei riferimenti precisi per il taglio. In questo caso la confezione sarà realizzata eseguendo il taglio del film in un punto casuale.

Nella stampa a registro (o “a fotocellula”) tutti gli elementi grafici sono studiati per assumere una precisa posizione nella confezione o nel foglio. Quindi ad esempio il nome del prodotto sarà posizionato su un angolo in alto a sinistra, il nome dell’azienda sarà sul basso, la finestra che mette in mostra il prodotto sarà centrale. Tutto questo è molto semplice da realizzare in stampa (il difficile è elaborare una grafica convincente e innovativa), l’unica avvertenza è di includere nella grafica un riferimento ben preciso (tacca di fotocellula). Successivamente per ottenere la stampa a registro la macchina che effettua il taglio deve essere dotata di fotocellula che legga la tacca di riferimento e ad ogni confezione provveda a correggere la corsa rallentandola o accellerandola. Non ci sono altri sistemi: anche il taglio più preciso ha un minimo di tolleranza e gli errori si sommano. Se per esempio l’errore è di un millimetro sulla prima confezione (ed è insignificante) sulla seconda sarà di 2 millimetri, sulla decima di 1 centimetro, sulla centesima confezione di dieci centimetri (e a questo punto la confezione è orribile).

Si arriva quindi ai concetti di fascia e di passo taglio. Si chiama fascia la larghezza della bobina. Il passo taglio è viceversa la misura della ripetizione di stampa per ottenere una stampa a registro. Se ad esempio si ha una confezione che richiede un foglio di larghezza 400 millimetri e di lunghezza 310 millimetri, si dirà che la fascia è 400 e il passo taglio 310. In questo caso la tacca di fotocellula deve essere posizionata all’interno della grafica con una ripetizione ogni 310 millimetri.

Al concetto di passo taglio è associato il concetto di passo stampa. Il passo stampa è la misura di ripetizione della macchina da stampa. Nel caso della flessografia corrisponde alla circonferenza esterna dei rulli portaclichè maggiorata dello spessore del fotopolimero, nella rotocalco è pari alla circonferenza del rullo metallico inciso. A meno di soluzioni particolari per le stampe a registro il passo stampa deve sempre essere uguale al passo taglio o ad un suo multiplo intero. Nell’esempio sopra indicato con un passo taglio di 310 millimetri, il passo stampa potrà essere solamente di 310, 620, 930 millimetri. Nelle stampe continue il passo stampa è indipendente dal passo taglio.

I soggetti di stampa possono essere al tratto o cromie. Un disegno al tratto è realizzato usando dei colori pieni. Nelle cromie il disegno è scomposto in piccolissimi punti di alcuni colori base, con un procedimento del tutto analogo a quanto si fa nelle fotografie a colori. Si parla di tricromie se si usano i tre colori fondamentali giallo, magenta (un rosso violaceo) e cyan (un blu chiaro), di quadricromia se a questi viene aggiunto il nero o il bistrot (un marrone scuro). Ci possono poi essere dei lavori misti, in cui alcune parti sono realizzate al tratto (ad esempio dei fondi colorati, oppure alcune scritte) ed altri in cromia.

Nelle cromie importante è il concetto di risoluzione di stampa, o lineatura di stampa. In genere per avere una stampa definita con il giusto dettaglio dei particolari è necessario eseguire la stampa con una determinata risoluzione. La risoluzione si misura in linee a centimetro. In teoria maggiore è la lineatura migliore risulta la qualità di stampa. Nella realtà non è esattamente così perché intervengono anche numerose altre variabili che possono inficiare la qualità. Nella flessografia per l’imballaggio flessibile si riesce oggi a stampare a lineature intorno ai 50-54 linee a centimetro. Ma si possono ottenere ottimi risultati anche con lineature più basse, intorno ai 48 – 42 linee a centimetro.

In base al tipo di grafica predisposta si determina il numero di colori da utilizzare in stampa. Ad esempio su un film bianco e per un lavoro di quadricromia puro il conto è presto fatto: giallo, magenta, cyan, nero: sono 4.

Su film trasparenti bisogna sempre aggiungere il colore bianco per fare il fondo. Infatti su fondo trasparente i colori non sono coprenti, sono attraversati dalla luce, e perciò la resa cromatica è molto ridotta. Sono colori coprenti: il bianco, l’argento e il nero.

In genere con 6 colori in macchina si riescono ad eseguire quasi tutti i lavori di stampa misti (quadricromia + tratto).

La coprenza dei colori esprime quanta superficie del film viene ricoperta da una determinata tinta. Ad esempio se in un soggetto il colore nero ha coprenza del 20%, questo significa che fatto 100 la superficie totale del film il nero ne ricopre il 20%. La coprenza totale è la somma delle coprenze di ciascun colore, ed è importante per determinare il costo del film. Ci sono soggetti in cui la coprenza dei colori è trascurabile (5-10%) ed altri in cui si arriva facilmente a superare il 200-250%. In questi casi il costo dei colori diventa una parte estremamente importante del costo totale del film, fino al 30%, ed è necessario calcolarne accuratamente l’incidenza mediante calcoli preventivi e successivi controlli all’atto della produzione.

Il colore depositato sul film ed essiccato costituisce uno strato sulla superficie. Con il micrometro non sono rilevabili significative variazioni di spessore, e con le bilance titolatrici non è riscontrabile una variazione della densità del film. Ciononostante il film risulta più pesante rispetto al film neutro, e la differenza di spessore è riscontrabile sulla bobina sotto forma di un leggero rigonfiamento laddove è posizionato l’inchiostro.

Valutare quale sia il peso aggiunto dal colore al film neutro è estremamente difficile, anche calcolando la coprenza e la percentuale di secco.

I preventivi di costo del film stampato sono sempre realizzati su misura. Bisogna considerare:

  • il tipo di film necessario al confezionamento
  • la grafica che è stata scelta per la presentazione del prodotto
  • le tirature di ciascun soggetto
  • le misure di stampa: fascia e passo taglio
  • il numero dei colori
  • la coprenza di ciascun colore
  • la difficoltà complessiva di realizzazione del lavoro (tempi e scarti di avvio macchina, velocità di crociera).

Questi parametri sono analizzati in fase di preventivo, e i vari dati sono inseriti in un apposito programma di preventivazione. Il risultato che si ottiene è il prezzo di vendita calcolato su più tirature (almeno su 3 tirature: il minimo realizzabile, la quantità ottimale e una tiratura maggiorata). Viene inoltre calcolato il costo per gli impianti. Il programma di preventivazione consente inoltre di variare le ipotesi di lavoro in modo da calcolare l’alternativa più conveniente per il cliente.

GRAFICA E IMPIANTI STAMPA

La definizione del soggetto con tutti gli elementi grafici (fotocolor, scritte, finestre, immagini, posizionamento diciture di legge eccetera) è un’operazione normalmente eseguita dal cliente, in collaborazione con un’agenzia grafica, pubblicitaria o di immagine.

L’elaborazione della grafica e la preparazione dei clichè viene affidata ad aziende esterne (chiamate service) che fanno solamente questo lavoro.

Per quanto riguarda il costo degli impianti, esso si compone di due parti: la trasformazione del soggetto grafico originario approvato dal cliente in un soggetto adattato alle esigenze produttive delle macchine da stampa, e la produzione vera e propria dei clichè di stampa, chiamati fotopolimeri.

La prima parte viene definita grafica, come risultato ha la produzione di un disegno esecutivo in misura reale (1:1) che viene trasmesso e fatto approvare al cliente prima di procedere alla stampa. Il costo attuale si aggira intorno ai 30 € per ora lavorata.

I fotopolimeri hanno invece un costo a centimetro quadrato che attualmente si aggira sui 4 centesimi a centimetro quadrato. Per ogni colore di stampa bisogna produrre una lastra di fotopolimero e perciò la superficie totale è data dalla somma di tutti i colori.

Come dato di fatto il costo totale attuale può aggirarsi da un minimo sui 100-200 €, per lavori semplici ad un colore, fino a 800-1000- 1200 € per lavori complessi a 6 colori.

Recentemente l’evoluzione della tecnologia ha introdotto una variante migliorata dei clichè chiamata fotopolimeri digitali. In questo caso il fotopolimero è prodotto da una macchina con una testa al laser che incide il materiale fotosensibile punto per punto. Ne deriva un clichè molto migliorato con ottima qualità di stampa, specie sulle cromie di qualità.

La politica aziendale è di girare al cliente solamente il costo vivo sostenuto, e non caricare nessun margine sul costo degli impianti. Se il cliente lo desidera può anche chiedere al service di fatturare direttamente i costi relativi.

Non avendo praticato nessun margine la proprietà degli impianti resta dell’azienda e in ogni caso la grafica e i fotopolimeri non vengono messi a disposizione del cliente.

Gli impianti stampa hanno una lunga durata, e, se ben conservati, possono essere riutilizzati per numerose ristampe anche a distanza di anni. Se l’impianto dovesse rovinarsi per l’uso l’azienda provvederà a rimpiazzarlo a sue spese.

Una particolare attenzione va posta alle diciture da apporsi sugli incarti (ragione sociale, denominazione del prodotto, ingredienti, pezzatura, data scadenza, codice a barre eccetera). La responsabilità di quanto viene riportato (correttezza e completezza delle diciture) sugli incarti è esclusivamente del committente. Ciononostante l’azienda fornisce un servizio di consulenza gratuita sia per la redazione e il controllo delle diciture in italiano, che per la eventuale traduzione nelle principali lingue europee.

I PROCESSI PRODUTTIVI

Per ottenere dei film usabili dagli utilizzatori finali l’attività di trasformazione si compone di due grandi livelli: le aziende che effettuano la filmatura trasformano le materie prime base di diversa natura (cellulosa o materie plastiche), in bobine industriali di film. Successivamente i trasformatori (chiamati anche converter) provvedono a effettuare lavorazioni successive alle bobine industriali in modo da ottenere bobine o fogli utilizzabili dai comuni mortali.

FILMATURA, ESTRUSIONE, COESTRUSIONE

Ci sono molti processi primari con cui dalla materia prima di base vengono prodotti film in bobina, ma i metodi di produzione più importanti possono essere attualmente raggruppati in tre famiglie: la filmatura, l’estrusione e la coestrusione.

La carta è stata in assoluto la prima pellicola prodotta dall’uomo. Per secoli è stata prodotta in fogli. Con l’invenzione della macchina continua si sono ottenute le prime bobine a lunghezza teoricamente infinita.

Il primo film trasparente è stato il cellofan, inventato nel 1908 dall’ingegnere chimico svizzero Jacques Edwin Brandenberger. Questo film ha avuto con la carta due importanti punti in comune: la materia prima utilizzata (la cellulosa) e il processo produttivo (la macchina continua). Per ottenere il cellofan si parte dalla cellulosa che viene opportunamente bagnata e trasformata in un fluido viscoso. Questo fluido (chiamato viscosa) viene depositato mediante una feritoia in continuo su un nastro trasportatore. Dopo opportuni trattamenti chimici ed asciugature si ottiene la pellicola. Questo procedimento si chiama filmatura.

Lo sviluppo delle materie plastiche ha originato il processo di estrusione. Questo procedimento sfrutta le proprietà termoplastiche dei materiali, che riscaldati, rammolliscono per tornare ad indurire quando la temperatura scende. Nell’estrusione per filmatura il materiale plastico prescelto si presenta originariamente in stato solido sotto forma di granulo (piccoli grani oblunghi simili a riso). Il granulo viene immesso in un macchinario (chiamato estrusore) che riscalda il materiale fino a portarlo alla temperatura di fusione e successivamente viene spinto a pressione attraverso una feritoia da cui fuoriesce una lastra continua di spessore ridotto. Questa lastra viene successivamente stirata e questo determina la ulteriore riduzione dello spessore alla misura richiesta. Alla fine del processo il film ottenuto viene raffreddato, e riportato a temperatura ambiente, riassume la forma solida. Viene quindi avvolto in bobine industriali. I macchinari e le varianti di processo sono ovviamente molteplici (estrusione in bolla, a testa piana, cast, eccetera), ma questo processo di base viene utilizzato per un buon numero di film plastici quali il polietilene, il polipropilene, il poliestere eccetera.

La coestrusione è una variante della filmatura per estrusione. In questo caso 2 o più materiali plastici vengono estrusi contemporaneamente da una testa di filmatura multipla, ottenendo un unico film. In genere la configurazione più usata è quella a tre strati in cui il film centrale (chiamato cuore) costituisce la struttura portante del film, mentre i due film collaterali (chiamati pelli) ne caratterizzano certe peculiarietà. Nel film di polipropilene biorientato la coestrusione a tre strati è stato il processo che ha determinato il successo del film e la progressiva e inarrestabile sostituzione a scapito del cellofan. Nel caso specifico il polipropilene biorientato coestruso è costituito da una parte centrale (cuore) di spessore maggiore che ha le caratteristiche meccaniche richieste (in particolare carichi di rottura), le due parti esterne, chiamate pelli, dell’ordine di 1-2 micron ciascuna, sono costituite da film termosaldante e permettono la saldatura del film e l’utilizzo nelle moderne macchine confezionatrici. Il vantaggio della coestrusione è che il processo è economico, ed (entro certi limiti), si possono mettere insieme diversi materiali per ottenere i vantaggi di ciascuno. I moderni coestrusori possono oggi arrivare a 5-7 strati, ottenendo dei film molto complessi, e nel contempo ancora economici da produrre.

Con i tre processi sopra descritti si possono ottenere film:

  • trasparenti
  • colorati
  • pigmentati bianchi o colorati
  • bianchi espansi o cavitati
  • opachi

E’ soprattutto il cellofan che viene colorato sottoponendo il film, durante la produzione, a bagni con opportuni composti chimici colorati.

I film pigmentati sono ottenuti aggiungendo al granulo trasparente una certa percentuale di granulo colorato. Attualmente sono comuni i film pigmentati bianchi (di solito ottenuti aggiungendo biossido di titanio), mentre i pigmentati colorati sono quasi esclusivamente prodotti in polietilene.

Il colore bianco del film si ottiene anche con la cavitazione. In questo caso al granulo base viene aggiunto una opportuna percentuale di un composto chimico (in genere anidride carbonica) che all’atto dell’estrusione fa “espandere di volume” il film, per questo motivo si parla di film cavitati o espansi. Questa reazione provoca due effetti: in primo luogo impedisce il passaggio della luce e trasforma così un materiale trasparente in bianco, in secondo luogo riduce (anche considerevolmente) la densità del materiale, e lo rende perciò più leggero a parità di dimensioni (ad esempio nel polipropilene la tipica densità di 0,91 può essere ridotta a valori inferiori a 0,70).

Ci sono poi film coestrusi che hanno entrambe le caratteristiche: hanno cioè almeno uno strato pigmentato bianco ed uno cavitato.

Per realizzare film opachi si utilizza ora un procedimento di coestrusione in cui il cuore centrale del film è realizzato con un materiale trasparente, mentre almeno una delle pelli è opaca.

LACCATURA E METALLIZZAZIONE

Dopo aver ottenuto la bobina madre i film possono passare per due lavorazioni: la laccatura e la metallizzazione.

Con la laccatura su almeno un lato del film viene stesa una apposita lacca trasparente. Questo processo è stato inventato e messo a punto per il cellofan, per rendere il film termosaldabile. Successivamente è stato utilizzato anche per il polipropilene biorientato, quando questo film non poteva essere termosaldante. Attualmente la laccatura viene impiegata soprattutto per conferire al polipropilene proprietà di barriera all’ossigeno e agli aromi che altrimenti questo materiale non avrebbe. In questo caso il film è sovente bilaccato, cioè ha la lacca su entrambi i lati ed anche a laccatura differenziata, che significa che le due lacche sono diverse tra di loro per ottenere proprietà diverse. La laccatura ha spessori dell’ordine del micron e non modifica sostanzialmente la densità del film.

La metallizzazione invece serve a stendere su un lato del film un lato metallico, solitamente alluminio. In questo caso le bobine sono introdotte in una camera su cui viene fatto il vuoto, la bobina viene svolta e riavvolta, e un getto di metallo vaporizzato viene spruzzato su un lato del film in corsa. Lo strato di alluminio che si deposita sul film ha un’ ottima barriera sia all’umidità, che all’ossigeno, che alla luce. Inoltre con la metallizzazione si ottiene l’aspetto metallico che può essere richiesto per una migliore presentazione del prodotto. Lo spessore dello strato di metallo è molto ridotto, solitamente è notevolmente inferiore al micron, e non è misurabile dal micrometro. Per questo motivo per misurare la metallizzazione vengono impiegati altri sistemi di misura, la conducibilità elettrica della superficie oppure la densità ottica. Quasi tutti i film sono metallizzabili. La metallizzazione non fa variare la densità del film, ma rende il lato metallico non idoneo al contatto diretto con gli alimenti.

Mentre la laccatura è in genere eseguita dai produttori di film (filmatori), la metallizzazione può anche essere affidata ad aziende esterne (metallizzatori), specializzate in questa lavorazione.

IL CONVERTING, STAMPA, ACCOPPIAMENTO, MICROFORATURA, TAGLIO DI RIBOBINATURA, TAGLIO IN FOGLIO

Dopo la produzione del film c’è l’attività di trasformazione (converting) delle bobine madri in prodotti usabili dagli utilizzatori. A seconda del tipo di film questa attività può essere integrata a valle, cioè svolta direttamente dal produttore del film, oppure svolta da soggetti terzi. Nel polietilene è assai frequente che il produttore del film provveda anche a eseguire le lavorazioni successive. Viceversa nel polipropilene, nel poliestere e nel poliammide la divisione delle attività tra filmatori e converter è netta.

Una lavorazione semplice che si esegue nel converting è il taglio di ribobinatura. Con un apposito macchinario le bobine industriali vengono svolte, tagliate e riavvolte per ottenere bobine più piccole, maneggiabili manualmente, e tali da poter essere caricate sulle macchine confezionatrici.

Un’altra lavorazione analoga è il taglio in foglio. In questo caso dalla bobina madre si ottiene direttamente il foglio tagliato a misura sulle esigenze del cliente. Nel caso di film stampato è inoltre possibile ottenere un foglio tagliato a registro. Con questa modalità i vari elementi del disegno sono sempre tutti posizionati nella stessa posizione e la presentazione del foglio e del prodotto è la migliore.

Per quanto riguarda la stampa nella lavorazione da bobina a bobina sono attualmente utilizzati principalmente due processi: la stampa rotocalco e la flessografia.

Per realizzare la stampa rotocalco si deve procedere ad incidere dei cilindri metallici con il disegno da ottenere. Per ciascun colore di stampa è necessario incidere un cilindro. Questi cilindri vengono successivamente montati in macchina in modo da stendere uno strato di colore su di essi. Il colore viene quindi rimosso e resta solamente nelle parti incise. Il film viene posto a contatto col cilindro ed il colore si trasferisce dal cilindro inciso al film. Lì rimane e viene opportunamente essicato. Il sistema a rotocalco offre un’ottima qualità di stampa, ma ha costi di impianto e di gestione delle macchine molto elevati. Generalmente risulta conveniente laddove le tirature di stampa sono molto lunghe e ripetute a breve lasso di tempo.

La stampa in flessografia ha un procedimento diverso. Vengono dapprima realizzati dei clichè in rilievo che riportano il disegno da realizzare. Questi clichè vengono poi montati con del nastro biadesivo su un rullo portaclichè in acciaio. Infine i rulli portaclichè vengono montati nella macchina flessografica. La parte in rilievo del clichè entra in contatto con l’inchiostro che viene immediatamente trasferito al film. Anche in questo caso l’inchiostro viene essicato e il film riavvolto.

Un tempo c’era una netta divisione del mercato: la flessografia era il processo che faceva ottenere una qualità di stampa scarsa, ma era valido per basse tirature, mentre la rotocalco era riservata a qualità ottime ma nel contempo a tirature importanti.

In flessografia si usavano allora clichè realizzati in gomma e macchine chiamate stack, con i gruppi colori in linea. Ma la tecnologia si è evoluta moltissimo in questo campo. Nelle macchine l’adozione del tamburo centrale ha risolto tutti i problemi di registro stampa. Per quanto riguarda i clichè si è dapprima passati ai fotopolimeri (una sorta di gomma sintetica sensibile alla luce) e quindi all’incisione a laser dei fotopolimeri (chiamati fotopolimeri digitali). Ci sono stati infine significativi miglioramenti negli inchiostri, nei biadesivi e nel processo di preparazione della grafica.

Ad oggi la stampa in flessografia, se realizzata correttamente e professionalmente, avendo cura di standardizzare tutti i parametri, ha ben poco da invidiare alla rotocalco in termini di qualità di stampa. E continua a conservare significativi vantaggi in termini di costi di impianti stampa, di flessibilità produttiva, di velocità di evasione degli ordini e di possibilità di realizzare tirature brevi.

L’accoppiamento consiste nel incollare tra di loro due o più film diversi. Se correttamente eseguita questa lavorazione non presenta particolari difficoltà. Il migliore servizio si ha laddove i film usati per la specifica applicazione non siano dei generici film ma siano effettivamente studiati per la confezione.

Per certe applicazioni il film deve inoltre essere microforato. Si distingue la microforatura a freddo dalla microforatura a caldo. In questa seconda modalità produttiva un campo d’aghi viene riscaldato a temperature intorno ai 280-330 gradi C. Il film fatto passare su questo campo d’aghi viene fuso in corrispondenza dell’ago. In corrispondenza del foro si crea un piccolo cratere. Questa modalità consente di avere una ottimale foratura con ridotti possibilità di lacerazione del film microforato.

IDONEITA’ AL CONTATTO CON GLI ALIMENTI

E’ spesso necessario che l’imballaggio flessibile vada a diretto contatto con gli alimenti.

Tutta la materia è specificatamente regolata da una serie di norme, sia italiane che europee. Non è il caso di fare qui un trattato su questa materia. Ma si possono dare alcune indicazioni di base sull’argomento.

In primo luogo bisogna distinguere tra alimento ed alimento. Non c’è un idoneità al contatto che vada bene per tutti gli alimenti. L’alimento può essere secco, grasso, acido, contenere alcool ed avere molte altre varianti che debbono essere valutate nello specifico caso. La normativa distingue pertanto 5 classi di alimenti con caratteristiche peculiari.

Il sistema poi si fonda sui seguenti elementi:

  • una lista positiva di materie prime ed elementi
  • una lista delle sostanze proibite (lista negativa)
  • l’effettuazione di prove di migrazione
  • il trasferimento “a cascata” dell’idoneità alimentare
  • la tracciabilità e la rintracciabilità dei lotti.

Per alcuni film, a livello europeo è stata redatta e viene periodicamente aggiornata la lista positiva delle materie prime utilizzabili. Il principio è molto semplice: chi vuole produrre un certo film, ad esempio il cellofan, per essere in regola con la normativa europea lo deve fare usando solamente quelle materie prime e quei componenti che sono inclusi nella lista. Sembra banale, è come dire che per fare il pane bisogna usare la farina.

L’aspetto speculare alla lista positiva è la lista negativa, o lista delle sostanze proibite. In questo caso il concetto è ribaltato, per essere in regola con la normativa europea non bisogna usare sostanze vietate. Per tornare all’esempio sopra citato è come dire che per fare il pane non si può usare la segatura di legno o la polvere di marmo.

Questi due elementi sembrano ovvii, ma si consideri che il film non dichiara gli ingredienti in etichetta (come fa invece l’alimento) che possono essere controllati da un laboratorio chimico. Inoltre il film può essere di provenienza europea ma anche extracomunitaria, provenire da Paesi dove questa normativa non esiste.

Quindi un’azienda che acquista materia prima e produce film deve in primo luogo rispettare queste due regole. Ma non basta.

La legislazione richiede anche di effettuare prove specifiche di migrazione. In breve si mette a contatto il film da analizzare con degli appositi reagenti e si controlla se componenti del film si sono trasferiti al reagente. Se questo è successo è probabile che lo stesso film, a contatto con l’alimento si comporti allo stesso modo e lo vada ad inquinare in modo più o meno grave. Se il test è negativo il film è idoneo al contatto con un certo tipo di alimenti. Le prove di migrazione vengono effettuate al momento della formulazione iniziale del film, ma vengono ripetute periodicamente dai produttori di film (le aziende serie in sostanza eseguono questa analisi per ogni bobina madre prodotta).

A questo punto il produttore del film ha conseguito l’idoneità al contatto alimentare di un certo tipo per il suo prodotto. Indica questa idoneità sui documenti commerciali (documenti di trasporto, fatture di vendita, certificati di controllo qualità eccetra) nonché sulle etichettature delle bobine.

Questa idoneità vale anche per i passaggi successivi. Se la bobina viene acquistata da un converter e trasformata, egli non si deve preoccupare di ripetere le analisi dal principio sul film. Prende per buona l’idoneità alimentare rilasciata dal filmatore e si preoccupa di mantenerla per la sua parte di processo produttivo (stampa, accoppiamento eccetera). Fornirà il suo cliente e a sua volta riporterà l’idoneità alimentare. Questo è il trasferimento “a cascata”.

UNITA’ DI MISURA E FORMULE SEMPLICI

Spessore: micron (1 micron = 0,001 mm, 1000 micron = 1 mm)

Densità: grammi/centimetro cubo (g/cm3)

Titolo: grammi/metro quadrato (g/m2)

Spessore x Densità = Titolo

esempio 20 my x 0,91 g/cm3 = 18,2 g/m2

Resa: metri quadrati/chilogrammo (m2/kg)

1 Chilogrammo : Titolo = Resa

esempio 1000 g : 18,2 g/m2 = 54,94 m2/kg

Peso confezione: grammi/confezione

Lunghezza x Larghezza x Titolo = Peso a confezione

esempio 0,500 m x 0,300 m x 18,2 g/m2 = 2,73 g/confezione

Costo confezione: €/confezione

Peso a confezione x Prezzo a kg :1000

esempio 2,73 g/confezione x 3,00 €/kg : 1000 g/kg = 0,00819 €/confezione

© 2009 Angelo Peruzza di Paolo Peruzza & C. s.a.s.

Lingua
Film eco sostenibili
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