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Impegno Sociale e Sostenibilità

 

In questa pagina web si parla di impegno sociale e sostenibilità dell’impresa. Per descrivere quale sia il nostro concetto di impegno sociale e sostenibilità dell’impresa è necessario fare un discorso piuttosto lungo e sicuramente non semplice. Tuttavia ci sembra indispendabile farlo per una serie di motivi:

  • in primo luogo perchè ci descrive, spiega a fondo il nostro modo di essere impresa e di rapportarci con tutti gli altri soggetti, (persone, aziende, organizzazioni, istituzioni) che hanno a che fare con l’azienda;
  • poi perchè quasi tutti i nostri clienti e fornitori sono imprese, e quasi sempre troviamo in loro le stesse nostre caratteristiche, lo stesso “comune sentire” a proposito del ruolo sociale che assume l’impresa all’interno della società;
  • infine perchè tanti ragazzi, tanti giovani, ma anche tante persone, anche individui con un’ottima cultura, hanno perso questi concetti base, o peggio non ne hanno mai sentito parlare, nessuno glieli ha mai spiegati e dunque spesso non si rendono conto del ruolo dell’impresa nel funzionamento della società.

Scriviamo queste righe con molta umiltà. Non vogliamo certamente fare la morale a nessuno, e tantomeno fare a gara a chi profonde più impegno sociale. Sicuramente ci sono moltissime aziende più brave, più meritevoli di noi sotto questo punto di vista.

 

Questa pagina web è semplicemente una dichiarazione di appartenenza, l’affermazione: “noi cerchiamo di comportarci in questo modo”, che pensiamo possa essere condivisa da molte altre aziende che si comportano come noi, magari senza averci riflettuto molto sopra.

 

La definizione sotto riportata condensa in due righe il concetto di impegno sociale e di sostenibilità dell’impresa a cui ci ispiriamo:

 

“L’impresa è un’organizzazione che svolge un’attività specializzata, che crea e distribuisce, in modo etico e sostenibile, valore aggiunto per sè e per gli altri portatori di interessi (gli “stakeholders”).”

 

Ma andiamo per gradi. La nostra interpretazione di impegno sociale e sostenibilità dell’impresa è basata su tre concetti:

  1. la creazione e la distribuzione del valore aggiunto,
  2. la specializzazione,
  3. l’etica imprenditoriale.

 

La Creazione del Valore Aggiunto

 

L’impresa è l’organizzazione tipicamente destinata alla creazione del Valore Aggiunto. Poiché raramente si parla oggi di Valore Aggiunto, e tanti ragazzi, tante persone non ne conoscono il significato, è indispensabile fare un esempio.

 

Immaginiamo quindi che ci sia un terreno di 10 campi da coltivare. Questi 10 campi sono coltivati, ad esempio sono seminati a frumento, da un unico agricoltore. Egli acquisterà alcune materie prime di base (i sementi, il fertilizzante, il diserbante, il gasolio del trattore) ed utilizzerà degli strumenti agricoli. Deve quindi estirpare le erbacce, arare il campo, seminare, spargere il fertilizzante, irrigare, ed alla fine mietere e raccogliere il grano.

Ipotizziamo (i numeri sono di pura fantasia) che vengano utilizzati 10 chili di sementi e alla fine del ciclo vengano raccolti 1000 chili di frumento. La differenza è data dal frumento che i campi hanno prodotto, hanno generato grazie al lavoro, alla fatica, all’impegno e all’ingegno dell’agricoltore.

 

E’ evidente che c’è stata creazione di ricchezza, perchè in autunno c’erano 10 chili di sementi e alla fine dell’estate 1000 kg di frumento. Dal nulla sono state create delle risorse commestibili, utili sia per l’agricoltore che per gli altri soggetti della comunità.

 

In termini monetari immaginiamo che il totale dei costi sia stato di 200 Euro e il ricavato della vendita del frumento sia di 1000 Euro. Orbene la differenza tra costi delle materie prime (200) e ricavi (1000) è pari ad 800 ed è il Valore Aggiunto. In sintesi, e semplificando un poco, il Valore Aggiunto esprime in termini monetari quale è stata la ricchezza, la maggiore disponibilità di risorse generata dal lavoro umano.

 

Immaginate ora che i 10 campi di terreno siano situati in un’isola sperduta nell’Oceano, ad esempio nell’isola di Pasqua, e che non ci siano altre risorse disponibili, che tutti gli abitanti dell’isola per mangiare possano contare solamente sul raccolto di quei campi. In questo caso il Valore Aggiunto corrisponde quindi alla torta, al totale delle risorse, che viene predisposta dall’impresa per sé e per la collettività. Ipotizziamo che sull’isola ci siano 10 abitanti e se lo dividano equamente. Ognuno avrà disponibile 100 chili di grano in un anno.

 

Una Nazione che crea molto Valore Aggiunto ha una disponibilità di risorse molto alta, (la torta è molto grande e piena di panna e di cioccolato), i suoi cittadini hanno le precondizioni per stare tutti molto bene, per vivere agiatamente. 

 

Per cogliere immediatamente questa situazione si pensi a certi Paesi produttori di petrolio (la Norvegia, i Paesi Arabi del Golfo Persico), che spesso hanno una popolazione ridotta e un Valore Aggiunto globale altissimo dato dai proventi dell’estrazione del petrolio. In molti casi il benessere è diffuso tra tutti i cittadini e il livello di vita è molto alto.

 

Il Valore Aggiunto serve a pagare il lavoro dell’agricoltore e dei suoi collaboratori, a pagare le spese sostenute per l’uso di trattore ed attrezzi, a remunerare il capitale impiegato, a pagare le imposte e, l’ultima parte costituisce il profitto dell’impresa.

 

Agricoltura e allevamento sono due attività che fisicamente creano risorse aggiuntive: il grano raccolto è molto di più delle sementi impiegate, il numero di animali si incrementa grazie alla riproduzione. E’ più facile quindi associare questo aumento fisico delle risorse al concetto di Valore Aggiunto.

 

Industria e artigianato non creano fisicamente risorse aggiuntive, ma trasformano materie prime in prodotti finiti, il Valore Aggiunto è quindi prettamente monetario, non fisico. Non per questo è meno importante per il benessere di tutti.

 

Per visualizzare questa affermazione si pensi all’industria dell’auto che trasforma ferro, gomma e plastica in un’auto, all’abbigliamento che fa diventare la lana grezza un abito caldo e confortevole, o alle cantine che trasformano l’uva in vino. E’ evidente a tutti che una Ferrari ha un valore molto maggiore del ferro, che il Prosecco Millesimato ha molto più valore dell’uva, che un cappotto ha molto più valore della lana grezza appena tosata dalla pecora.

 

 

La Specializzazione dell’Attività

 

 

E’ questo l’unico modo di produrre?

Ovviamente, no.

 

Si può immaginare che i 10 campi, invece di essere coltivati da un unico agricoltore specializzato, vengano viceversa coltivati da 10 diversi soggetti, che fanno molti mestieri tra cui anche quello di coltivarsi il campo (ognuno il suo campo). Quindi ognuno estrirperà le erbacce, arerà, seminerà, fertilizzerà, irrigherà, mieterà.

 

Quale sarà il risultato finale in termini di risorse impiegate e di prodotto ottenuto?

Come cambia il valore aggiunto?

 

Beh, è quasi certo che le risorse impiegate risultino maggiori. E’ molto probabile che la frammentazione comporti un maggior consumo di risorse, ad esempio può essere che il lotto minimo di fertilizzante da preparare sia maggiore di quanto usato singolarmente da ciascun agricoltore e che se ne debba buttare una parte perchè inutilizzabile. Ipotizziamo pertanto che i sementi impiegati non siano 10 chili ma siano 15, ed il totale delle materie prime non corrisponda a 200 Euro ma a 300 Euro.

 

E il grano ottenuto? Anche qui è molto probabile che la soluzione con 10 agricoltori fai-da-te non dia il miglior risultato, cioè 1000 chili di frumento, ma ne dia un quantitativo inferiore, per una serie di motivi (ad esempio è possibile che qualcuno di loro sbagli qualcosa durante l’anno e il raccolto del suo campo venga compromesso). Diciamo che a fine anno l’ottenuto è di 800 chili di frumento. Sull’isola ci sono sempre 10 abitanti e se lo dividono equamente. Ognuno avrà disponibile 80 chili di grano in un anno.

Ipotizziamo che il prezzo del frumento sia comunque di 1 Euro al chilo. Ne deriva che il ricavo sarà di 800 Euro e il valore aggiunto diventa 500 Euro (800 – 300).

 

Sia che si tratti di beni fisici (il frumento), che di denaro, è evidente che risorse create e valore aggiunto sono minori, la torta è più piccola. Ed è altrettanto evidente che è più piccola per tutti, sia per gli agricoltori che per l’intera isola.

 

La specializzazione dell’attività è nata nella preistoria, con lo sviluppo dell’agricoltura.

 

Ad un certo punto l’uomo si è accorto che se in un campo riusciva a seminare, proteggere il campo dagli intrusi, attendere la maturazione del raccolto ed infine raccogliere, le risorse disponibili erano molto maggiori della semplice raccolta del pronto quando i frutti maturavano. Ha deciso quindi di abbandonare la vita randagia di uomo cacciatore-pescatore-raccoglitore e di diventare nel contempo agricoltore e sedentario.

Si parla di una vera e propria “Rivoluzione Agricola del Neolitico”, e storici ed economisti la fanno risalire a circa 10000 anni prima di Cristo in Medio Oriente, nella cosiddetta “Mezzaluna Fertile” (una ampia zona che include l’Egitto con il Nilo, la Palestina con il fiume Giordano, la Siria e la Mesopotamia, la zona racchiusa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, attualmente al confine tra Iran ed Iraq).

 

L’agricoltura ha cambiato completamente la struttura della società. Per fare agricoltura è necessario difendere con le unghie e con i denti i tuoi campi coltivati dalle possibili razzie degli altri uomini. Se coltivi per un anno e sul più bello arriva un intruso che si porta via tutti i frutti del tuo lavoro, fai la fame, e il valore aggiunto per te è zero. Coltivare è perciò altrettanto importante quanto difendere la comunità dalle invasioni e dalle razzie. L’agricoltura ha portato con sè le città fortificate, la necessità di difendere il proprio territorio, e poi ha portato ad una prima divisione e ad una specializzazione dei ruoli nella società: una parte della comunità fa l’agricoltore, un’altra il soldato.

 

Orbene siccome è evidente che il grano lo raccoglie l’agricoltore, se questo tiene per sè tutto il raccolto il soldato non ha risorse alimentari. E’ quindi indispensabile che chi crea direttamente il Valore Aggiunto (l’agricoltore) sia disposto volente o nolente a cederne una parte a chi non lo fa direttamente ma contribuisce comunque al buon risultato di tutta la società (il soldato). Nascono le tasse, che servono a redistribuire una parte del Valore Aggiunto da chi lo crea direttamente agli altri soggetti della società che hanno contribuito indirettamente alla creazione del Valore Aggiunto.

 

Con l’evolversi di economia e società la specializzazione è diventata un fattore cruciale per creare un Valore Aggiunto globale sempre maggiore.

 

Forse uno dei primi passaggi in questo processo è stata la specializzazione di alcune attività artigianali. Un uomo con ottima manualità e buon ingegno ha cominciato a fare il fabbro a tempo pieno e a fabbricare aratri per gli agricoltori e spade per i soldati. Fare sempre le stesse cose abbassa i costi (si chiamano economie di scala, in economia) e migliora i prodotti (effetto apprendimento).

 

Facciamo un altro esempio che ci riguarda da vicino. La nostra attività consiste nel trasformare film comperato in bobine industriali in prodotti usabili da utlizzatori professionali. Uno dei lavori più semplici è tagliare il film in fogli, usati, ad esempio, per confezionare panettoni e colombe.

 

L’operazione di taglio potrebbe anche essere fatta con degli strumenti molto semplici: le forbici, oppure un cutter. Una bobina industriale pesa 4-500 chili, che è il consumo trimestrale di alcuni panifici nostri clienti. In teoria, pertanto, il panificio potrebbe decidere di acquistare una bobina industriale da un produttore di film e decidere di fare da sè il taglio in fogli. Ma è un’operazione efficace ed efficiente?

 

In primo luogo deve acquistare la bobina da un filmatore. Ammesso e non concesso che il filmatore sia disposto ad effettuare questa vendita (per Lui troppo piccola), sicuramente il prezzo d’acquisto sarà più alto rispetto all’acquisto del carico di un TIR.

 

Poi c’è il trasporto. Spostare la merce via camion dal punto A al punto B costa quasi uguale, che venga spedita una bobina piuttosto che un carico. Le ore dell’autista e del camion sono le medesime, l’autostrada idem, il gasolio quasi anche. L’incidenza del trasporto sulla singola bobina è decisamente più alta.

 

Arrivati a destino bisogna scaricare il bancale con la bobina. C’è il muletto per lo scarico?

 

Poi la bobina deve essere fatta scendere dal bancale e posata a terra. Ci sono le attrezzature necessarie a fare questa operazione?

 

Per fare il taglio manuale da bobina a foglio ci sono degli attrezzi chiamati “dispensatrice di carta” che accolgono la bobina (montata verticalmente, oppure orizzontalmente su dei trespoli), consentono di svolgere quache metro, ed infine di tagliare un foglio a tutta altezza di bobina.

 

Infine si può procedere al taglio finale nella dimensione richiesta e si può effettuare con le forbici, oppure con il cutter sopramenzionati.

 

Ammesso e non concesso che tutta sta trafila riesca ad essere efficace, cioè a conseguire il risultato di tagliare il film nella misura necessaria (tagliare film plastico non è banale, è un tantino più complicato di tagliare carta) cosa succede all’efficienza? Quanti scarti si generano? Quanti fogli vengono buttati perchè non idonei? Quante ore di lavoro sono necessarie per fare tutto l’ambaradan?

 

 

Riassumiamo quindi per punti questi concetti:

  • sono le imprese che creano una parte importante della torta, la maggior parte del Valore Aggiunto di un certo Paese;
  • le imprese sono specializzate. La specializzazione è una condizione necessaria (ma non sufficiente) per creare  un Valore Aggiunto Globale molto maggiore di un sistema non specializzato. Il fai-da-te, la non specializzazione, va bene per il bricolage, per l’hobbismo, per il diletto dei singoli, non certo per dare da mangiare ad un popolo;
  • se una Nazione riesce a creare molto Valore Aggiunto è assai probabile che tutti i cittadini abbiano condizioni di agiatezza. Una Nazione che crea poco Valore Aggiunto condanna i suoi cittadini alla povertà;
  • per permettere a tutti i soggetti di beneficiare del Valore Aggiunto è necessario un sistema fiscale che prelevi una parte del valore aggiunto dove viene creato (nelle imprese) e lo redistribuisca agli altri soggetti sociali;
  • è necessario che chi crea il Valore Aggiunto (le imprese) si renda conto che è riuscito nell’intento non solamente per la propria bravura e maestria (che certo sono importantissime), ma anche perchè è inserito, usufruisce di un sistema sociale organizzato che gli ha permesso di crearlo.

Ne consegue che l’imprenditore non è padrone esclusivo del Valore Aggiunto che ha creato e pagare le tasse nel proprio Paese semplicemente fa parte dell’impegno sociale dell’impresa.

 

Etica e Sostenibilità nel Produrre e Distribuire il Valore Aggiunto

 

Arriviamo ora al terzo concetto, che è anche il punto più difficile da portare avanti giorno per giorno. Il Valore Aggiunto deve essere prodotto e distribuito in modo etico e sostenibile dall’impresa.

 

Trattiamo prima della creazione in modo etico del Valore Aggiunto. Ci sono 3 aspetti da considerare:

  1. la scelta dell’attività (l’oggetto sociale) che l’impresa intende esercitare;
  2. concorrenza ed eticità aziendale;
  3. Valore Aggiunto e rispetto integrale di tutte le leggi e le normative.

 

1 – La scelta del tipo di attività che un’impresa vuole esercitare è di solito presa all’inizio della vita dell’organizzazione e in genere non cambia (o raramente cambia) nel tempo.

 

E’ una scelta che compete al vertice dell’organizzazione, in termini aziendalistici si chiama oggetto sociale, e la cui responsabilità ricade interamente. Un imprenditore singolo decide all’inizio che vuole fare una certa attività (ad esempio coltivare grano o produrre automobili). Nel caso di società i soci fondatori, quando vanno dal notaio per costituire la società decidono anche l’oggetto sociale. (Si ricordi che FIAT era l’acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino, l’oggetto sociale – la produzione di auto – era bello chiaro fin dal nome).

Ed è più che logico, a livello individuale, io singolo individuo, per motivi miei personali, decido che mi sta bene essere socio in un’impresa che fa auto, e non un altra attività. Se la società decide di diversificare e di mettersi a produrre carri armati, io singolo socio posso non essere d’accordo e ho il diritto di recesso.

 

Se l’impresa deve creare Valore Aggiunto l’attività – l’oggetto sociale – può essere più o meno etica.

 

Si consideri questo esempio (al limite, volutamente provocatorio) di due attività che acquistano il derivato in polvere di un prodotto agricolo che cresce in Sudamerica. Entrambe comperano la polvere all’ingrosso, la importano in Italia e la distribuiscono fino ad arrivare al dettaglio. In entrambi i casi l’attività genera Valore Aggiunto. Orbene i due prodotti agricoli sono la canna da zucchero e le foglie di coca e le due polveri sono rispettivamente zucchero di canna e cocaina. Messa in questo modo la differenza tra le due attività sta solamente nell’eticità del business: commerciare zucchero di canna è considerato etico, spacciare sostanze stupefacenti è considerato un comportamento criminale, cioè altamente non etico.

 

In economia un business rischioso è di solito anche altamente redditizio. Ampliando il concetto un’attività non etica è molto più profittevole di un’attività etica: il Valore Aggiunto del commercio della cocaina è infinitamente maggiore del Valore Aggiunto dell’importazione dello zucchero.

 

Ma, per fortuna, ci sono moltissime attività che si possono esercitare, c’è tutto un orizzonte di attività con gradi diversi di eticità.

 

Partendo da un estremo di attività manifestamente illegali, si passa per attività che alcuni individui considerano eticamente accettabili ed alcuni individui no (ad esempio produrre mine antiuomo o mitra d’assalto è etico?), per attività da tutti considerate etiche (coltivare il grano, produrre auto, importare zucchero di canna), per arrivare infine ad attività altamente etiche, il terzo settore, il no profit. Emergency cura gratuitamente le persone povere in tutto il mondo. E’ evidente che salvare vite umane genera Valore Aggiunto, e pertanto anche Emergency rientra nella definizione sopra riportata.

 

I vertici aziendali, quando iniziano l’attività, hanno quindi, di fronte a sè un ventaglio amplissimo di attività tra cui scegliere, con gradi diversi di eticità.

 

Da un punto di vista economico, Emergency, attività altamente etica, ha una valorizzazione molto bassa del Valore Aggiunto (perchè cura gratuitamente, e quindi non ha un corrispettivo monetario al suo servizio). Si può comunque generalizzare affermando che più un’attività è etica meno trova riconoscimento monetario al Valore Aggiunto che crea, ovvero la profittabilità dell’attività diminuisce con l’etica.

 

L’etica, infine, è un concetto legato ad una certa cultura ed ad un certo tempo.

Si considerino questi esempi:

  • per secoli la tratta degli schiavi è stata considerata un’attività eticamente accettabile (magari non dava un gran status sociale, ma era ammessa);
  • durante il Proibizionismo, negli Stati Uniti, la produzione e il commercio degli alcolici è diventato illegale (Al Capone era un commerciante di whisky);
  • per secoli la Chiesa Cattolica ha considerato non etico (cioè peccaminoso) il prestito di denaro con corresponsione di interessi (e per “bypassare” il divieto sono sorti i Monti di Pietà);
  • per l’Islam il prestito oneroso è tuttora vietato dalla legge religiosa;
  • siccome ai Musulmani sono vietate la carne di maiale e gli alcolici è verosimile che produrre vino o allevare maiali siano da loro considerate attività non etiche, mentre per gli occidentali sono attività assolutamente normali.

E allargando il concetto è possibile che fra dieci anni verrà considerato etico quello che oggi non lo è (il commercio di droghe leggere, forse?), e al contrario non etico ciò che ora lo è (le sigarette, forse?).

 

Riassumendo tre sono i concetti da ribadire:

  • la percezione dell’etica varia con il tempo, con la cultura di una società, con la sua religione;
  • la scelta dell’oggetto sociale (dell’attività) è presa all’inizio dal soggetto al vertice dell’organizzazione, l’imprenditore o i soci fondatori di una società o di un’attività no profit. E’ una decisione libera, una scelta consapevole che dura per un periodo molto lungo. Nella scelta i vertici hanno un grado di libertà assai ampio: si può scegliere di cominciare un’attività non etica, un’attività mediamente etica o un’attività altamente etica;
  • in linea di massima maggiore è l’eticità dell’attività svolta minore è il Valore Aggiunto che l’attività riesce a conseguire. Attività altamente etiche ricavano poco Valore Aggiunto, le attività criminali generano molto Valore Aggiunto.

 

2 – Passiamo ora al secondo punto della creazione del Valore Aggiunto, il rapporto tra concorrenza ed eticità aziendale. La scelta dell’attività è stata fatta a suo tempo ed ora l’impresa è un’organizzazione strutturata, che svolge un’attività eticamente accettabile.

 

Una regola generale dell’economia è che la concorrenza tra i diversi venditori stimola la competizione e riduce i prezzi a favore dei consumatori. Ridurre i prezzi di vendita significa ridurre i ricavi dell’organizzazione, e deprimere di conseguenza i margini di profitto e il Valore Aggiunto.

 

In sostanza alta concorrenza = basso Valore Aggiunto.

 

In genere le imprese cercano di sfuggire a questa legge dell’economia sfilandosi dalle situazioni di concorrenza perfetta, basata sul solo prezzo di vendita. Molte manovre sono possibili: differenziare il prodotto, offrire un diverso mix di prodotto/servizio, segmentare il mercato sono alcuni esempi. In genere queste politiche aziendali sono eticamente valide, ed anzi riescono a creare ulteriore Valore Aggiunto alla società. Invece di avere un unico prodotto indifferenziato si hanno più alternative possibili, e si soddisfano meglio le esigenze di un maggior numero di consumatori.

 

Ma cosa succede se un’impresa decide di usare strumenti non etici per sbaragliare la concorrenza?

 

Ad esempio in un appalto pubblico si decide di pagare tangenti ai funzionari e/o ai politici che decidono. Nel privato si corrompono gli addetti all’ufficio acquisti per fare comperare la propria merce e non quella dei concorrenti. Nel primo caso si commettono una serie di reati (corruzione, concussione, turbativa d’asta, finanziamento illecito ai partiti eccetera), nel secondo no (la corruzione tra privati non è purtroppo, ancora considerato reato in Italia).

 

Ma a parte l’aspetto penale è evidente che è la concorrenza che viene sballata. In economia si dice che “la moneta cattiva scaccia quella buona”. Nel caso specifico questo significa che le imprese che usano sistemi non etici prendono il campo, sbaragliano gli onesti che sono costretti ad uscire dal mercato.

 

Una situazione di questo tipo determina almeno due effetti:

  • in primo luogo i vari attori comprendono presto che il mercato è stato falsato da comportamenti non etici.  (Provate ad immaginare: sono un’azienda che ha partecipato ad un appalto pubblico, o ha fatto un’offerta per una grossa fornitura ad un’azienda privata. L’affare è grosso, e può essere estremamente importante per me. Faccio i miei conti al centesimo, limo tutto il possibile, preparo un’offerta articolata, completa e ricca, e poi mi trovo fuori. Come minimo mi chiedo dove ho sbagliato nella mia offerta e cerco di informarmi. Ma siccome ci vogliono almeno due persone – un corrotto e un corruttore – per fare queste cose e il mondo è molto piccolo, arrivo ben presto a comprendere cosa è successo veramente e perchè sono rimasto fuori);
  • il passo successivo è decidere come comportarsi in futuro. L’imprenditore che ha perso l’appalto pubblico, oppure la grossa commessa, e che ha capito che il gioco era truccato, ha due strade: decide di “adeguarsi al sistema” (e per la volta successiva sarà disposto a corrompere), oppure si ribella e si rifiuta. Questa è una scelta difficile perchè a volte comporta rinunciare ad una fetta consistente dell’attività aziendale. Per certo è una decisione consapevole (non si è “costretti” ad aderire e sottostare al gioco truccato), ci si può rifiutare, sapendo perfettamente che quella mano di carte è definitivamente persa, e che bisogna cercare qualcos’altro, qualche altro mercato pulito. 

 

Il tutto per dire che non basta aver scelto all’avvio dell’attività un oggetto sociale etico e sostenibile. Le scelte da che parte stare si ripresentano, di quando in quando, anche nelle attività più etiche e sostenibili.

 

 

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Lingua
Film eco sostenibili
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