CELLOFAN, IMBALLAGGI FLESSIBILI NEUTRI E STAMPATI, FILM ECOSOSTENIBILI, FILM HI TECH PER I MATERIALI COMPOSITI E LA VULCANIZZAZIONE

Film Eco Sostenibili per Imballaggio Flessibile

 

Film Ecologicamente Sostenibili per Imballaggi Flessibili ed Economia Circolare

 

Film ottenuti da Risorse Vegetali Rinnovabili con Ciclo Breve del Carbonio e Ridotte Emissioni di Gas Climalteranti

 

Film Biocompostabili

 

 

 

In questa sezione del sito si tratta di film ecosostenibili utilizzati come imballaggi flessibili per il packaging. In particolare si descrivono le caratteristiche di una nuova gamma di film ecologicamente progettati, il futuro dell’imballaggio flessibile, disponibile già da oggi. Dal punto di vista dello sviluppo sostenibile questi film danno un duplce contributo, in quanto sono film:

  • ottenuti da risorse vegetali rinnovabili con ciclo breve del carbonio e ridotte emissioni di gas climalteranti;
  •  che a fine ciclo di vita sono completamente biocompostabili.

I film ecosostenibili sotto descritti sono stati da noi individuati e selezionati nel corso del 2010 e del 2011. Sono a listino e vengono offerti ai nostri clienti da maggio 2012. In tale occasione è stata redatta la prima versione di questo documento, che ad aprile 2017 è stata inserita nel sito web come sezione separata. Il tutto a significare che il nostro interesse in questi temi non è frutto dell’ultima moda, non è una delle ennesime operazioni di “green washing” a cui si assiste oggi,  ma risponde ad un impegno profondo e duraturo, alla convinzione che questi film rientrano appieno nella moderna concezione di economia circolare. Sono la risposta possibile alla crescente consapevolezza che lo sviluppo deve essere sostenibile, e forniscono una soluzione concreta e fattibile ad un packaging circolare e sostenibile.

 

La Funzione del Packaging e i nuovi Film Ecosostenibili

 

Ma facciamo un passo indietro e partiamo dall’imballaggio. La funzione primaria del packaging è di proteggere e conservare i prodotti contenuti nell’imballaggio per permettere una fruizione dilatata nel tempo dei prodotti stessi. Questa funzione è particolarmente importante se il prodotto confezionato è un alimento. Se adempie a questa funzione un imballaggio correttamente progettato e configurato risulta già ecologicamente valido perché migliora l’uso razionale delle risorse e ne riduce il fabbisogno totale.

 

Si consideri ad esempio un generico prodotto alimentare. La sua vita utile potrebbe essere di 7 giorni se non viene confezionato e di 60 giorni se è confezionato con il giusto imballaggio. La maggior durata può diventare il fattore discriminante tra consumo o mancato consumo dell’alimento (perché non più commestibile) e il conseguente smaltimento in discarica.

L’uso razionale delle risorse alimentari è di essere consumate nell’alimentazione, non di finire in discarica perché avariate. In questo esempio con l’impiego del giusto imballaggio una maggior quota delle risorse disponibili viene destinata all’alimentazione umana. L’uso delle risorse sarà più razionale e sarà necessario produrne di meno per soddisfare le esigenze umane. L’imballaggio assume un contributo funzionale alla sostenibilità ecologica.

 

Se vengono progettati ed impiegati correttamente gli attuali imballaggi flessibili rispondono già pienamente a queste esigenze. Ma oggi è possibile chiedere di più al packaging. Gli imballaggi flessibili possono contribuire alla sostenibilità ecologica anche durante il loro ciclo di vita, avere un contributo intrinseco alla sostenibilità ecologica ed ambientale.

 

In particolare si può chiedere che l’imballaggio flessibile abbia un basso impatto ambientale, sia per quanto riguarda le materie prime utilizzate per produrlo, sia nella fase di smaltimento alla fine della sua vita utile.

 

 

Film ottenuti da Risorse Vegetali Rinnovabili con Ciclo Breve del Carbonio e Ridotte Emissioni di Gas Climalteranti

 

 

La maggior parte dei film plastici attualmente utilizzata per gli imballaggi flessibili deriva da materiali fossili, in particolar modo dal petrolio.
Petrolio, carbone e gas metano rappresentano lo stato attuale di antichissimi depositi di sostanze organiche di origine vegetale. In tempi remoti la vegetazione è stata dapprima ricoperta da sedime e successivamente sepolta da rocce, e con il tempo e la pressione si è trasformata in combustibili fossili.

Ma la ricerca mirata e la chimica moderna, correttamente applicate al problema, hanno fatto notevoli progressi in questo senso e hanno cominciato a proporre materie plastiche ottenute partendo da Risorse Vegetali Rinnovabili. Ad esempio è ora disponibile sul mercato granulo plastico sia di polietilene che di polipropilene ricavato dalla canna da zucchero.

 

Quale è il vantaggio di utilizzare Risorse Vegetali Rinnovabili al posto di materiali fossili per la produzione degli imballaggi flessibili? Di non contribuire all’aumento in atmosfera dei gas climalteranti (i gas che hanno effetto serra), in particolare dell’anidride carbonica. I gas climalteranti (anidride carbonica, ossido di carbonio, metano) sono i principali imputati del processo di riscaldamento globale del pianeta a cui stiamo assistendo in questi anni. 

Durante il giorno, con l’esposizione alla luce, mediante il processo di fotosintesi clorofilliana la vegetazione assorbe anidride carbonica, emette ossigeno e trattiene il carbonio. (In realtà il processo è assai più complesso. Parte dall’acqua e dall’anidride carbonica e passa per il glucosio, la cellulosa e la lignina. Ma si può sintetizzare il tutto in questo modo). Di notte il ciclo si inverte, ma in ogni caso la quantità assorbita di giorno è molto maggiore di quella emessa di notte. Questo processo è valido non solo per alberi, erba e vegetazione ma anche per le alghe presenti in enormi quantità negli oceani.

In altri termini quando la vegetazione cresce assorbe CO2 (anidride carbonica) dall’atmosfera. Quando la pianta muore e i suoi componenti subiscono la biodegradazione essi emettono CO2, o sotto forma di gas di decomposizione (metano) o, in caso di combustione, sotto forma di fumo (costituito principalmente da vapor acqueo, anidride carbonica e monossido di carbonio).

 

Questo ciclo di assorbimento e successivo rilascio ha un effetto quasi nullo sul livello totale di CO2 presente in atmosfera, perché l’anidride carbonica rilasciata in atmosfera è pari a quella fissata dalla pianta con la fotosintesi. Si dice che il ciclo è a carbonio atmosferico costante, oppure che il ciclo è a CO2 neutra.

 

Inoltre le Risorse Vegetali Rinnovabili hanno un ciclo del carbonio breve perché il periodo che intercorre tra l’assorbimento (durante la crescita) e il rilascio in atmosfera è misurabile in anni, al massimo in decenni nel caso di alberi secolari. Questo ciclo breve sta durando da tempi lunghissimi sul nostro pianeta, ed è, a tutta evidenza, ecologicamente compatibile.

 

I biomateriali costituiti partendo da Risorse di origine Vegetale Rinnovabili hanno un ciclo del carbonio del tutto assimilabile a quello delle piante. La CO2 prodotta alla fine della vita del biomateriale corrisponde a quanto era stato assorbito dalla pianta da cui è stato ricavato il biomateriale. Il ciclo è breve e non c’è significativo aumento del livello medio di CO2 (che costituisce il principale gas con effetti climalteranti).

 

I materiali fossili (petrolio, gas, carbone) invece hanno immagazzinato in tempi antichissimi il loro contenuto di carbonio tramite questo meccanismo (perché anche loro derivano in gran parte da vegetali) e lo hanno tenuto sepolto nelle viscere della terra per millenni. Se vengono estratti ed utilizzati come combustibili (sia immediatamente, che negli inceneritori alla fine del ciclo di vita del prodotto) quando bruciano, producono CO2. Emettono anidride carbonica addizionale, e ne fanno aumentare il livello medio nell’atmosfera perché il pianeta non riesce ad assorbire le quantità aggiuntive e l’eccesso che ne deriva. L’uso di materiali fossili fa quindi aumentare il livello globale di anidride carbonica. Si dice che il carbonio atmosferico è in aumento, che ci sono emissioni di gas climalteranti.

 

Inoltre il ciclo del carbonio da materiali fossili è molto lungo perché sono passati milioni di anni tra l’assorbimento e l’emissione di CO2.

 

La datazione di una sostanza può essere verificata con il metodo del carbonio 14, un isotopo del carbonio che decade in un periodo fisso. In altri termini si può prendere un qualsiasi oggetto di uso quotidiano e controllare la provenienza delle sue materie prime analizzando il contenuto di carbonio 14. Si può così verificare se per la sua produzione sono state utilizzate materie prime fossili (a basso contenuto di carbonio 14) o Risorse Vegetali Rinnovabili recenti (ad alto contenuto di carbonio 14).
Il contenuto di carbonio 14 è il metodo previsto dalla normativa internazionale per verificare la provenienza della materia prima e assegnare un voto in base alla percentuale riscontrata.

 

Per questi motivi l’uso di materie prime di origine vegetale (anziché provenienti da fossili) nella produzione di imballaggi flessibili è uno sviluppo verde (green) a ridotto apporto di nuova anidride carbonica in atmosfera. Attualmente le principali materie prime utilizzate in questo modo derivano dalla coltivazione di alberi, mais, patate e canna da zucchero (ma sono in corso studi e ricerche sulle erbe lacustri, sulle alghe e su altre fonti) e sono condotte con metodi di coltivazione sostenibili e rinnovabili.

 

L’impiego di Risorse Vegetali Rinnovabili nella produzione di film per imballaggi flessibili è ecologicamente sostenibile perché ha un ridotto apporto di nuova anidride carbonica in atmosfera grazie al ciclo breve del carbonio sopra descritto. Questo è un beneficio importante se confrontato con l’aumento del carbonio atmosferico derivante dall’uso di materie prime fossili.

 

Quale Fine Vita per gli Imballaggi Plastici?

 

In questo paragrafo si analizza quale può essere il fine vita (il miglior fine vita) per la plastica, in particolare per gli imballaggi flessibili in plastica.

Una volta che un imballaggio flessibile ha svolto la funzione primaria (confezionare e conservare un determinato prodotto, e nel caso di un alimento spesso prolungarne la durata utile, e quindi aumentare le risorse complessivamente disponibili per l’alimentazione umana), arriva a fine vita e deve essere smaltito.

 

Le alternative possibili sono:

  1. viene abbandonato nell’ambiente;
  2. viene smaltito in discarica;
  3. viene avviato ad un inceneritore;
  4. viene riciclato;
  5. viene trasformato in compost.

 

L’abbandono nell’ambiente (il littering) è decisamente la peggiore di tutte. In un Paese Civile la gente non butta i rifiuti per strada, nei campi o nei giardini, nelle spiaggie, nei fiumi, o in mare.

Purtroppo, a tutta evidenza, non siamo in un Mondo Civile. Dalle mie parti è ora raro trovare maleducati che sporcano, o gettano il sacchetto con l’immondizia per la strada. Ma se ci guardiamo in giro ci accorgiamo che questo comportamento non si verifica solo nel Terzo Mondo, o nei Paesi sottosviluppati.

Dal punto di vista ambientale il rifiuto abbandonato è la peggiore delle ipotesi. Oltre che imbrattare il posto in cui viene gettato ha anche una vita residua assai lunga.

I film plastici in particolare, se esposti alla luce solare e agli elementi atmosferici con il tempo tendono a frantumarsi progressivamente, e a diventare particelle sempre più piccole, fino a diventare micro plastiche. Un disastro.

Tuttavia poichè nessun rifiuto ha le gambe, e non è nemmeno un branco di lemming (che periodicamente si suicidano nell’oceano), è evidente che l’abbandono incontrollato non è un problema del rifiuto, ma di maleducazione di noi umani. La soluzione non è eliminare la plastica, ma educare i buzzurri.

 

Smaltire in discarica risolve il fenomeno del littering, non imbratta la spiaggia rosa di Budelli nell’arcipelago di La Maddalena, la Forcella Rossa in Tofana, o il fosso dietro casa.

E’ qualcosina meglio, ma non cambia di molto il fine vita della plastica, anzi forse la peggiora. La plastica viene sepolta insieme alle altre immondizie e quindi non si frantuma.

Il vantaggio è ovviamente che le immondizie sono confinate in un unico posto, e perciò “inquinano meno”. Ma le discariche creano miasmi e puzza, attirano topi, scarafaggi, mosche e gabbiani. Nessuno le vuole vicino a casa sua.

Infine si esauriscono: per quanto grande sia il buco, la cava, la grotta utilizzata per la discarica prima o dopo si riempie, e bisogna trovarne un’altra.

 

C’è un dibatttito molto acceso in Italia riguardo agli inceneritori.

Qui non ci si schiera né a favore dei critici, né a favore dei fautori.

Se l’inceneritore è correttamente progettato e gestito non dovrebbe creare emissioni nocive o puzzolenti, dovrebbe recuperare l’energia prodotta dalla combustione e smaltire l’immondizia.

Ma qualsiasi combustione genera sempre come minimo gas climalteranti: anidride carbonica e monossido di carbonio. Si toglie oggi l’immondizia dalla faccia della terra e si contribuisce alle emissioni di gas serra, con il conseguente riscaldamento del clima domani. A occhio e croce non è un bel trade-off.

 

Riciclare è sicuramente l’opzione migliore, rispetto alle altre appena descritte.

Alcuni materiali sono riciclabili all’infinito: metalli e vetro. Per la plastica le cose sono leggermente diverse.

Qui la domanda chiave è: “quante volte si può riciclare?”

In primo luogo non tutte le plastiche sono riciclabili, bisogna distinguere tra termoplastiche e plastiche termoindurenti. Poi devono essere monomateriale, perchè se sono fatte di più polimeri il riciclo è problematico.

Inoltre il processo del riciclo meccanico ha delle regole ben definite, che devono essere rispettate da tutti gli attori coinvolti: produttori degli oggetti in plastica, consumatori-utilizzatori, circuito della raccolta, riciclatori. (Da quanto ne sappiamo Conai e Corepla hanno fatto e stanno facendo un eccellente lavoro in questo campo.)

Per produrre un articolo in materia termoplastica si parte da un granulo vergine. Questo viene fuso e portato alla forma richiesta (pellicola, vaschetta, secchio, sedia da giardino, serbatoio della benzina). Nel riciclo meccanico questi articoli a fine vita vengono macinati, trasformati nuovamente in granulo, e il ricavato può essere fuso nuovamente.

Però il processo non è infinito.

Ad ogni ciclo la plastica si degrada un pò, e il materiale riciclato deve essere utilizzato in applicazioni meno “nobili”.

Ad esempio chi scrive ritiene che sia altamente pericoloso utilizzare plastiche riciclate per materiali od oggetti che devono andare a contatto con gli alimenti. (In caso di interesse contattateci e argomenteremo questa affermazione). A parte questo ci sono moltissimi usi della plastica riciclata.

Ma il punto è un altro: prima o poi qualsiasi oggetto di plastica riciclata deve essere smaltito definitivamente, e a quel punto le opzioni possibili restano le tre sopra descritte.

 

Un esempio può chiarire il concetto.

Supponimao che, all’incirca venti anni fa, del polipropilene vergine sia stato trasformato in film trasparente. Il film è stato usato per confezionare alimenti, mettiamo spaghetti, mezzepenne, rigatoni.

La pasta secca alimentare ha una durata molto lunga, ed il confezionamento e l’imballaggio contribuisce significativamente alla durata. Diciamo che dopo un annetto il Nando Mericoni che giace nascosto e silente in ogni italiano è stato pungolato dall’impudenza dello spaghetto, e ha reagito. (“Maccarone….., m’hai provocato……, e io ti distruggo adesso….. Maccarone! Io me te magno”.) Spaghetti in pancia, imballaggio nella raccolta della plastica e Americano a Roma felice.

L’imballaggio non era stampato, ed il circuito del riciclo è stato particolarmente virtuoso ed è riuscito a tenere separati i materiali trasparenti dai colorati.

Ciò nonostante il granulo riciclato ottenuto non può essere usato per il contatto alimentare, né per fabbricare prodotti trasparenti. Infatti basta una percentuale bassissima di materiale colorato per scurire in modo inaccettabile un oggetto trasparente.

Per rimediare si aggiunge del granulo colorante bianco (masterbatch), dei plastificanti, e si produce un flacone bianco, ad esempio per contenere shampoo o del detersivo liquido.

Anche il flacone per un annetto svolge la sua funzione di contenere e preservare il detersivo liquido. Una volta vuotato deve essere nuovamente smaltito.

La massaia è coscienziosa, lo risciacqua per bene, e lo mette nella raccolta differenziata della plastica. Anche stavolta il riciclo è molto virtuoso, ma a questo punto il granulo è grigiastro tendente giallo, e deve essere ulteriormente scurito per essere trasformato in un articolo accettabile.

Si aggiunge masterbatch verde, degli altri addittivi e plastificanti, e si producono sedie da giardino, che finiscono nella terrazza della casa al mare.

Queste durano una ventina d’anni: prendono il sole, la pioggia, la neve, il vento, la salsedine, qualche gelata, qualche chicco di grandine, ma resistono. Poi un utilizzatore maldestro appoggia “poco delicatamente” il suo (dolce?) peso sulla sedia e questa decide che quando è troppo è troppo e si schianta. Per fortuna il malcapitato non si fa male.

A quel punto le sedie sono diventate decisamente brutte, a causa dell’esposizione alle intemperie. Ma sono, soprattutto, pericolose, e vengono nuovamente buttate.

E siamo arrivati ai tempi odierni.

Anche stavolta finiscono nel circuito della plastica, ma a questo punto anche il miglior circuito, la migliore tecnologia di riciclo meccanico fatica assai ad ottenere del granulo ulteriormente riutilizzabile.

In questa plastica c’è troppa roba, eterogenea, sconosciuta e non identificabile. Magari si riesce anche a far fare un altro giro di giostra al riciclo del riciclo del riciclo, in un applicazione ancora più povera, meno performante.

Ma è evidente che ad un certo punto si arriverà al redde rationem.

Attualmente quello che non si riesce a riciclare finisce o in discarica, o come combustile per qualche processo termico. E si ritorna pertanto agli scenari due e tre sopra descritti.

Quindi si torna alla domanda iniziale, oppure, per parafrasare Bob Dylan:

How many times must the cannonballs fly,

before they’re forever banned?

Quante volte può essere riciclata la plastica,

prima di finire nel’inceneritore?

 

Poichè la risposta a questa domanda non se ne va col vento, a questo punto le soluzioni sono due:

  • o qualcuno inventa un metodo per usare la plastica riciclata per fare dei monumenti eterni,
  • oppure alla fine del ciclo deve essere distrutta (e probabilmente incenerita).

Ma personalmente ho molti dubbi che Renzo Piano, Norman Foster, Massimiliano Fucsas, Tadao Ando e i loro committenti siano disposti a costruire un nuovo Colosseo, una nuova Piramide in plastica riciclata.

 

Per completezza di ragionamento si consideri che la critica qui fatta al riciclo non proviene da qualcuno che non lo pratica, al contrario.

In azienda la gran parte dei materiali scarti (95%, forse 98%?) viene avviata al riciclo della plastica da almeno 40 anni.

Inoltre per i prodotti destinati agli imballaggi flessibili abbiamo disponibili soluzioni in plastica riciclabile per quasi tutte le applicazioni, (ivi compresi i film barrierati per l’atmosfera modificata o per il sottovuoto, con barriera ai gas e agli aromi, con barriera alla luce).

Infine sui film stampati è nostra abitudine, da molto tempo, identificare chiaramente la plastica e fornire al consumatore le indicazioni per un corretto conferimento al circuito del riciclo.

E proprio per questo, forse, per il fatto di essere dentro al circuito da così tanto tempo, che ne vediamo anche i limiti.

 

Si arriva pertanto al quinto scenario, sopra incluso nella lista: la trasformazione in compost.

Per gli imballaggi flessibili la biocompostabilità è, a nostro avviso, il miglior fine vita.

 

 

Film Completamente Biocompostabili a Fine del Ciclo di Vita

 

 

Purtroppo c’è attualmente parecchia confusione su cosa può succedere ad un determinato prodotto alla fine della sua vita utile. Spesso si usa il termine biodegradabile, e si associa tale termine ad un fine vita “ecologico” del prodotto. In realtà è necessario distinguere tra biodegradabilità e biocompostabilità.

Si comincia a fare più chiarezza se si scinde il termine nei due componenti: “bio” e “degradabile”. Il primo termine “bio” sta a significare che il prodotto, tramite un processo biologico (quindi naturale) viene trasformato in qualcosa di altro. “Degradabile” invece significa che il prodotto viene per l’appunto degradato in qualcosa d’altro. Ma in cosa? Il termine non lo specifica.

 

I materiali plastici sono spesso costituiti da polimeri, cioè da lunghissime catene di molecole legate le une alle altre. Recentemente sul mercato sono stati immessi dei film definiti biodegradabili. Talvolta si tratta di materiali plastici tradizionali in cui ad un certo punto della catena di molecole è stato aggiunto un componente che con il tempo (o l’esposizione alla luce) rompe i legami tra le molecole e spezza la catena di polimeri. In particolare si parla di plastiche oxodegradabili se l’additivo è sensibile all’ossigeno.

 

Il risultato è che col passare del tempo il film si frantuma in pezzi estremamente piccoli. In questo caso dunque, la degradazione del materiale ha trasformato un film in polvere minuscola che in realtà risulta altrettanto inquinante per l’ambiente (se non di più – le microplastiche) del film originario.

Questa è una trasformazione fisica, un processo di rottura e di sminuzzamento della pellicola, ma la natura chimica del materiale resta inalterata.

Questa è una distorsione del concetto di biodegradabilità e risponde a criteri prettamente commerciali piuttosto che a reali dettati ecologici.

 

La biocompostabilità è un processo completamente diverso. Per comprenderlo si considerino gli scarti domestici che attualmente vengono raccolti nell’umido (bucce di frutta, verdure, resti di carne, cibo, pane). Una volta inseriti nel compostatore domestico, nell’impianto di compostaggio industriale, o nel letamaio delle vecchie fattorie questi scarti vengono aggrediti da organismi naturali (enzimi e batteri) e vengono naturalmente trasformati nelle componenti organiche di base. In altri termini subiscono una trasformazione biologica-chimica naturale che li trasforma in compost che può essere tranquillamente usato come concime per orti, piante e giardini.

Quindi il termine “biocompostabile” è molto più preciso ed indicativo di cosa avviene: tramite un processo biologico il materiale si trasforma in compost.

 

Un film Bio Compostabile si comporta esattamente nello stesso modo. Quando viene posto nel compostatore (industriale o domestico) ed esposto a opportune condizioni di umidità e temperatura, subisce una degradazione dovuta all’azione di enzimi specifici che comporta la modifica del composto chimico (con rilascio di acqua, di CO2, di metano e di calore).

Il processo di biocompostaggio può essere svolto in due modi diversi: il compostaggio industriale ed il compostaggio domestico.

Il compostaggio industriale è eseguito da aziende specializzate della nettezza urbana che raccolgono il rifiuto umido (opportunamente selezionato da ciascun consumatore a casa propria) e lo trattano in appositi impianti industriali. Negli impianti industriali le condizioni operative (umidità, temperatura, tempo, presenza di enzimi e batteri che aggrediscono il materiale e lo trasformano in compost) sono strettamente controllate e pertanto il processo di biocompostaggio è sempre efficace. In particolare le temperature di processo sono in genere abbastanza elevate (55 – 60 °C) e costanti, e queste condizioni favoriscono il biocompostaggio.

Il compostaggio domestico è invece realizzato a casa propria da ciascun consumatore, che provvede ad introdurre il rifiuto umido in un apposito “biodigestore” (il bidone verde in plastica). Le condizioni operative non sono strettamente controllate, in genere le temperature all’interno del biodigestore sono nettamente inferiori e spesso variano con la stagione, e pertanto il biocompostaggio può risultare non perfetto.

In sintesi trattare il rifiuto negli impianti industriali è più semplice ed efficace piuttosto che farlo nel compostaggio domestico. Per questi motivi è necessario specificare in quali condizioni operative il film risulta biocompostabile.

Le normative specifiche che regolano la biocompostabilità hanno considerato due situazioni:

  1. l’inserimento del materiale in biocompostatori industriali (sono gli impianti centralizzati, consorziati coi Comuni, che attualmente raccolgono e trattano la gran parte del rifiuto umido domestico);
  2. l’uso di compostatori domestici (quei particolari contenitori che si possono tenere in casa, o meglio in giardino).

In particolare sono state emesse due normative che regolano il compostaggio industriale, una europea (EN 13432) ed una americana (ASTM D 6400).

 

Il compostaggio domestico è invece regolato da una procedura a carattere volontario originariamente messa a punto dalla Società di Certificazione Belga AIB-Vincotte, ed ora di proprietà della Società di Certificazione TUV Austria.

 

In genere per soddisfare queste normative entro 3 mesi dall’inserimento nel compostatoreormative il 90% del materiale biocompostabile deve essere bio composto, cioè completamente trasformato in humus assimilabile dalle piante secondo i principali processi (digestione anaerobica, compostaggio industriale o domestico).

 

Oggi esistono film per imballaggi flessibili biocompostabili, che hanno la certificazione di biocompostabilità se inseriti in impianti di compostaggio industriale secondo la normativa europea (EN 13432) e americana (ASTM D 6400), o domestica secondo la procedura “OK Compost Home” della TUV Austria.

 

E’ importante notare che la decomposizione non ha luogo finché il film è conservato in bobina, in ambiente fresco ed asciutto, e nemmeno durante il periodo in cui costituisce l’imballaggio del prodotto da confezionare, ma ha inizio solamente quando viene inserito con il resto del rifiuto umido ed esposto perciò ad umidità, temperatura e all’azione di enzimi e batteri.

 

L’uso di film Bio Compostabili nella produzione di film per imballaggi flessibili è ecologicamente sostenibile perché evita lo smaltimento negli inceneritori o in discarica. Alla fine del ciclo di vita dell’imballaggio il film Bio Compostabile viene naturalmente trasformato in compost.

E se per produrlo sono state utilizzate risorse vegetali rinnovabili il ciclo si chiude: si è partiti dalla natura, il film ha svolto la funzione importantissima del packaging (proteggendo l’alimento e allungandone la vita utile) e alla fine viene trasformato in compost e ritorna perciò alla natura. Un esempio perfetto di Economia Circolare.

 

Film Ecosostenibili ed Economia Circolare

 

Ecco spiegato quindi il significato del titolo di questa pagina web. Oggi sono disponibili film per imballaggi flessibili di questo tipo, che oltre al contenuto funzionale dato dalla protezione del prodotto e dal conseguente uso razionale delle risorse alimentari hanno un doppio contributo intrinseco di eco sostenibilità e di basso impatto ambientale e rispondono ai dettami dell’economia circolare:

  1. con l’utilizzo di Risorse Vegetali Rinnovabili per la materia prima si ha un impatto pressoché nullo nell’emissione di gas serra, in particolare nell’emissione di CO2 e viene instaurato un ciclo virtuoso a carbonio atmosferico costante. Infatti l’anidride carbonica risultante dalla combustione o dalla decomposizione del film a fine ciclo è stata in precedenza compensata dall’anidride carbonica assorbita dalla sostanza vegetale durante la sua crescita;
  2. la Bio Compostabilità evita lo smaltimento negli inceneritori o in discarica. Alla fine del ciclo di vita dell’imballaggio il film Bio Compostabile viene naturalmente trasformato in compost.

Questi film eco sostenibili rientrano pertanto appieno nel moderno concetto di economia circolare:

  • partendo da risorse naturali rinnovabili,
  • svolgono la funzione di packaging (soprattutto per i prodotti alimentari: ne preservano la freschezza, ne aumentano la durata utile, riducendo così lo spreco di risorse alimentari);
  • e infine ritornano alla natura sotto forma di compost.

Il circolo virtuoso si completa e si chiude, e nel percorso il processo ha contribuito concretamente a soddisfare le esigenze umane e ad aumentare il valore aggiunto per tutti gli attori coinvolti: produttori di alimenti, consumatori, e per l’ambiente.

 

I Film per Imballaggi Flessibili Ecosostenibili attualmente disponibili

 

Quali sono i film (per l’imballaggio flessibile, ma anche per altri impieghi) che attualmente rispondono a questi criteri? La ricerca sta lavorando alacremente su questi argomenti, è assai probabile che nel prossimo futuro siano inventati materiali e/o processi nuovi. Ma a nostro avviso ci sono già delle soluzioni possibili per imballaggi ecosostenibili. I film flessibili utilizzabili nelle macchine confezionatrici sono:

  1. il Cellofan biocompostabile, ricavato dalla cellulosa proveniente da foreste gestite con criteri ecologici, e disponibile in diverse varianti (trasparente, bianco, metallizzato). Caratteristica peculiare del Cellofan è di avere un’ottima barriera all’ossigeno e agli aromi. A seconda del tipo di laccatura usata si possono poi avere diversi tipi di film con diversi gradi di barriera all’umidità. Nella pagina Cellofane Biocompostabile da Risorse Vegetali Rinnovabili in Bobina si possono trovare maggiori dettagli del cellofane biocompostabile;
  2. il film di PLA biocompostabile, (Poli Lactic Acid, acido polilattico). Chimicamente il PLA è una variante del poliestere, ma viene ricavato dagli amidi (in particolare dall’amido di mais e della canna da zucchero). Ha ottime caratteristiche meccaniche, ottime caratteristiche di saldabilità e di scivolosità sulle macchine confezionatrici. Ma la barriera ai gas (ossigeno, umidità, aromi) è in genere piuttosto limitata. Anche il PLA è disponibile in diverse varianti (trasparente, bianco, metallizzato). Maggiori informazioni in Film di PLA Biocompostabile da Risorse Vegetali Rinnovabili in Bobina

 

Film Biocompostabili Stampati

 

I film sopra individuati possono essere stampati ed ottenere così film biocompostabili stampati. Si stampa per personalizzare il packaging con una grafica accattivante, oppure con delle semplici scritte, e/o con un QR Code che rimanda ad una pagina web, che identificano chiaramente il materiale, per far apprezzare ai consumatori la scelta di questa alternativa ecosostenibile nell’imballaggio del prodotto.

Il processo di stampa in flessografia è del tutto analogo a quanto si fa di consueto sui normali film plastici, non ci sono particolari problemi. Si possono quindi ottenere ottimi risultati grafici (quadricromie, lavori a tratto, colori a Pantone, un’ottima coprenza del bianco eccetera). Nella pagina Le nostre competenze: la stampa in flessografia del nostro sito trovate alcune delle caratteristiche della stampa in flessografia. Le accortezze da osservare sono due:

  1. bisogna utilizzare speciali inchiostri biocompostabili;
  2. bisogna che il contenuto in secco dell’inchiostro rispetti dei limiti precisi. Il residuo secco (di ciascun inchiostro, e della somma di tutti gli inchiostri) deve essere inferiore a certi rapporti prefissati (1% del peso del materiale per il singolo colore, e 5% del peso del materiale per la somma di tutti gli inchiostri).

Partendo dai file digitali della grafica il nostro programma di preventivazione dei film stampati calcola in automatico la coprenza di ciascun inchiostro e la coprenza totale, nonché il peso dell’inchiostro secco che rimane sul film, (di ciascun inchiostro e il totale) e il rapporto (la percentuale) tra il peso della singola confezione e il peso degli inchiostri.

E’ quindi possibile verificare in anticipo che una certa grafica rispetti i requisiti richiesti al punto 2 soprariportato per ottenere la biocompostabilità. Per avere la conferma che i dati teorici sono corretti si esegue poi un test con una bilancia di precisione di laboratorio che pesa film e contenuto totale d’inchiostro.

Per poter utilizzare liberamente i simboli di compostabilità è però necessario che i film stampati così ottenuti siano inviati ad un Ente Certificatore, che effettuerà sul film tutte le analisi ed i test di biocompostabilità e rilascerà un Certificato di Biocompostabilità specifico per ciascun imballo stampato. Il processo non è veloce, ed è anche piuttosto costoso, ma con la Certificazione dello stampato si chiude il cerchio, si completa la politica di ecosostenibilità intrapresa con la scelta di utilizzare i film ecosostenibili.

 

Film Accoppiati Biocompostabili

 

Partendo dai film biocompostabili si possono infine anche ottenere degli accoppiati biocompostabili, basati su film biocompostabili, realizzati utilizzando speciali adesivi a loro volta biocompostabili. Anche gli accoppiati possono essere stampati con le accortezze sopra descritte per i film stampati. Nella pagina Le nostre competenze: l’accoppiamento  del nostro sito trovate maggiori informazioni sui film accoppiati.
Anche in questo caso però per ottenere la certificazione di biocompostabilità dello specifico film è necessario inviare il film accoppiato ad un Ente Certificatore .

 

 

Se avete letto fino in fondo questo lungo documento, vuol dire che siete veramente interessati all’argomento che tratta. Nella pagina La Web Policy del sito trovate la politica adottata dall’azienda riguardo alla diffusione delle informazioni e delle competenze da noi possedute. Vi invitiamo a consultarla e, se non avete trovato le informazioni che cercate, non esitate a contattarci.

 

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